Ode della gelosia (fr. 31 Voigt) Indice Testo | Analisi | Successo letterario | Note | Voci correlate...
Opere letterarie in greco anticoOpere di SaffoPoesia LGBT
liricaSaffosublimeomonimo trattatoodetiasoLesbosindrometachicardiaperdita della parolafebbreannebbiamento della vistarimbombo alle orecchiesudorazionebrividipalloremorteIII secolo a.C.Apollonio RodioMedeaGiasoneCatullopoetaromanoI secolo a.C.gelosiaincipitsintomialessandrinalinguanotteClodiaLucrezioVirgilioEneaDidonePolidoroPriamo1572Giovanni Andrea dell’AnguillaraUgo Foscolo17901821Giovanni PascoliSalvatore Quasimodo
Ode della gelosia | |
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Dipinto pompeiano detto Saffo | |
Autore | Saffo |
1ª ed. originale | VI secolo a.C. |
Genere | poesia |
Lingua originale | greco antico |
L'Ode della gelosia o ode del Sublime (fr. 31 Voigt = 2 Gallavotti) è una lirica pressoché completa di Saffo[1], citata come esempio di "sublime" dall'omonimo trattato.[2]
In quest'ode la poetessa confessa il turbamento profondo che la coglie assistendo a una scena di seduzione: una ragazza del tiaso, la scuola femminile che la poetessa dirige a Lesbo, è in compagnia di un uomo e intrattiene con lui una conversazione.[3]
Indice
1 Testo
2 Analisi
3 Successo letterario
3.1 Apollonio Rodio
3.2 Il carme 51 di Catullo
3.3 Lucrezio
3.4 Virgilio
3.5 Prima traduzione italiana
3.6 Ugo Foscolo
3.7 Pascoli e Quasimodo
4 Note
5 Voci correlate
Testo |
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(GRC) «Φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν | (IT) «Pari agli dèi mi appare lui, quell'uomo |
(trad. di G. Nuzzo) |
Analisi |
L’anonimo del Sublime cita l'ode (purtroppo sconciata da una lacuna finale) per affermare come, nella poesia, prevalga il sentimento. E per dimostrare la sua tesi riporta il carme in cui la poetessa, analizzando i vari aspetti fisici e psicologici della passione, crea una perfetta unità di sentire e raggiunge il sublime.
Proprio il commento del trattatista appare quello più fine:
«Sa scegliere e legare gli uni con gli altri i culmini di tali sentimenti e i momenti più tesi… Non ti fa meraviglia, vedendo come d’un colpo, l’anima, il corpo, le orecchie, la lingua, gli occhi, la pelle, tutte le parti insomma, Saffo le vada recuperando, quasi non fossero sue, ma disperse; e nello stesso contraddicendosi è fredda e brucia e ragiona e vaneggia, (o teme di morire o già quasi è morta) al punto che pare che in lei ci sia non una sola passione, ma un incontro di passioni» |
(Del Sublime, X, 2., trad. da Il canto delle Sirene) |
Secondo M. Casertano, il ruolo svolto dall'uomo nella situazione descritta rimane dubbio: di solito si pensa al promesso sposo di una delle ragazze del tiaso, che sta per condurla via da esso. Ancor meno sicura è la motivazione del fatto che costui, nella parte iniziale del componimento, venga detto «pari agli dei»: tradizionalmente si pensava a una forma di "gelosia" da parte di Saffo, poi a una sorta di "invidia" della poetessa verso l'uomo, capace di mantenere la sua imperturbabilità dinanzi a tanta bellezza; l'unica cosa certa è che Saffo fa una precisa analisi dei sintomi che accompagnano il prorompere della passione amorosa, considerata come una vera e propria sindrome patologica, e che sono nell'ordine: tachicardia, perdita della parola, febbre, annebbiamento della vista, rimbombo alle orecchie, sudorazione fredda, violenti brividi in tutto il corpo, pallore, sensazione di morte imminente.[5]
Secondo B. Conte inoltre il movimento finale, dove si interrompe il testo giunto fino a noi, lascia intendere che la poetessa stia sottoponendo la propria esperienza alla riflessione del tiaso, in modo che le ragazze siano in grado di riconoscere l'amore e i suoi "sintomi".[3]
Successo letterario |
L'ode saffica è stata più volte ripresa dai letterati successivi, sia con traduzioni che con rielaborazioni, o semplici riferimenti.
Apollonio Rodio |
Nelle sue Argonautiche (III secolo a.C.) Apollonio Rodio descrive l'incontro di Medea con Giasone in modo simile al turbamento amoroso descritto da Saffo:
«Il cuore le cadde dal petto, e gli occhi nell'istante |
(Apollonio Rodio, Le Argonautiche, libro III, 962 ss., trad. di G. Nuzzo) |
Il carme 51 di Catullo |
Una fortunata rielaborazione è stata quella di Catullo, poeta romano del I secolo a.C.
Catullo ripropone l'ode saffica nel carme 51, introducendo importanti variazioni nel suo significato, dal momento che l'autore presenta non più una scena di gelosia, ma un confronto fra l'imperturbabilità dell'uomo e la propria vulnerabilità[3]:
(LA) «Ille mi par esse deo videtur, | (IT) «Quell'uomo mi sembra pari a un dio |
(Gaio Valerio Catullo, carme 51, I secolo a.C.) |
Secondo B. Conte, la sovrapponibilità del v. 1 con l'incipit dell'ode di Saffo segnala con grande evidenza il rapporto con il modello greco. Ma già al v. 2 Catullo se ne distacca introducendo un'amplificazione retorica: il passaggio dall'assimilazione (par) al superamento del dio (superare), unito allo slittamento dal singolare al plurale (deo/divos), costituisce un climax funzionale all'esaltazione dell'uomo. Il paragone con il dio non è dovuto alla felicità dell'uomo (come in Saffo), ma alla sua straordinaria imperturbabilità.[3]
Anche ai vv. 9-12, quando Catullo elenca i sintomi della propria malattia d'amore, si nota una differenza rispetto al modello: Saffo, come ha evidenziato Vincenzo Di Benedetto, ricorre alla terminologia concreta del lessico medico e all'accostamento parallattico dei diversi sintomi; Catullo invece supera questa importazione tecnica e ricorre a lessico e immagini più raffinati, di ascendenza alessandrina. Così, la lingua che si è paralizzata (v. 9) attenua la violenza del testo greco («ma la lingua è spezzata», v. 9); per il sintomo finale, l'oscurarsi della vista, Catullo impreziosisce l'efficace semplicità di Saffo («non vedo più con gli occhi», v. 11) con l'enallage gemina nocte (per gemina lumina) e con l'antitesi del v. 12, lumina nocte, mentre l'immagine stessa della notte che ricopre gli occhi evoca tradizionalmente la morte (a partire da Omero). L'elenco dei sintomi si chiude così con un sovraccarico di pathos.[3]
Ma l'elemento che segna più di tutti il distacco da Saffo è l'ultima strofa, che individua nell'otium la causa profonda della malattia d'amore. Esso rappresenta un paradossale ritorno alla morale tradizionale del mos maiorum, dalla quale la cerchia dei poetae novi si professava invece distante. In questo caso il termine otium acquista tutto il suo valore negativo, in quanto rende Catullo soggetto alla passione per Lesbia, conducendolo da ultimo a una vita dissipata.[3]
Il carme 51 spiega inoltre l'origine del soprannome Lesbia. Saffo, l'autrice del testo qui imitato, era infatti originaria dell'isola di Lesbo. Il soprannome dato a Clodia richiama l'ambiente colto, raffinato e affascinante della poetessa greca, con le bellissime ragazze del suo tiaso, da lei amate e cantate nelle sue odi; il poeta vuole quindi identificare Lesbia con queste ragazze oggetto di canto e se stesso con Saffo che le celebra.[3]
Lucrezio |
L'ode della poetessa greca viene ripresa in tutt'altro contesto da Lucrezio (autore contemporaneo a Catullo) nel De rerum natura. Nel terzo libro del poema il sentimento della paura è infatti descritto proprio attraverso il filtro dell'ode saffica:
(LA) «Verum ubi vementi magis est commota metu mens, | (IT) «Ma quando la mente è sconvolta da un più grande terrore, |
(Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, vv. 152-158) |
Rispetto a Catullo, Lucrezio si mantiene più fedele all'originale greco, pur variando in parte l'ordine dei sintomi; il catalogo ha un andamento più secco, che procede privo di aggettivazione e artifici, tramite un semplice ed efficacissimo accostamento paratattico. Naturalmente Lucrezio non può che sopprimere il sintomo dell'alterazione febbrile, troppo specifico della passione amorosa, ma gli altri tre sintomi sono descritti in uno stile asciutto ed essenziale che riconduce alla chiarezza 'scientifica' dell'ode di Saffo. A differenza di Catullo, Lucrezio inoltre riprende i sintomi descritti nella quarta strofe dell'ode di Saffo: il pallore, il sudore e l'eventualità della morte. Scopo di Lucrezio è fornire una chiara e dettagliata descrizione scientifica; egli non rifugge quindi da nessun particolare realistico che possa risultare utile a questo fine.[3]
Virgilio |
Qualche eco dell'ode di Saffo sembra esserci anche nell'Eneide di Virgilio, in particolare nel passo in cui Enea racconta a Didone l'incontro con lo spirito di Polidoro, uno dei figli di Priamo:
(LA) «[...] Mihi frigidus horror | (IT) «[...] Un freddo brivido |
(Publio Virgilio Marone, Eneide, vv. 29-30, 47-48, trad. di L. Canali) |
Prima traduzione italiana |
La prima traduzione italiana del frammento 31 di Saffo da noi conosciuta risale al 1572 ed è di Giovanni Andrea dell’Anguillara[6]:
«Parmi quell’huomo eguale essere à i Dei, |
Ugo Foscolo |
Ugo Foscolo, che si sentiva particolarmente legato a quest'ode[7], ne diede due fortunate traduzioni.
La prima traduzione risale al 1790[6]:
«Colui mi sembra agli alti Dei simile |
La seconda traduzione risale invece al 1821:
«Quei parmi in cielo fra gli Dei, se accanto |
Pascoli e Quasimodo |
Altre due fortunate traduzioni nella storia della letteratura italiana sono state infine quelle di Giovanni Pascoli e Salvatore Quasimodo:
«A me pare simile a Dio quell’uomo, |
(Giovanni Pascoli) |
«Come uno degli Dei, felice |
(Salvatore Quasimodo) |
Note |
^ Forse manca un'ultima strofe.
^ Del Sublime, X, 2.
^ abcdefgh Gian Biagio Conte e Emilio Pianezzola, Letteratura e cultura latina. L'età arcaica e repubblicana, vol. 1, Le Monnier Scuola, gennaio 2016, pp. 514-517.
^ Molte le proposte di integrazione di quella che, probabilmente, era l'ultima strofe, in cui Saffo si rassegnava al suo amore infeliceː tra le altre, spicca quella del grecista Enrico Livrea, leggibile su nazioneindiana.com.
^ Mario Casertano e Gianfranco Nuzzo, Storia e testi della letteratura greca. L'età delle origini. L'età della lirica e della 'sapienza', vol. 1, G.B. Palumbo Editore, 2011, pp. 365-366.
^ ab Traduzioni e imitazioni da Saffo, fr. 31 V, su www.rivistazetesis.it. URL consultato il 9 luglio 2018.
^ U. Foscolo, Poesie, Firenze, Le Monnier, 1856, pp. 311-312.
Voci correlate |
- Saffo
- Letteratura greca arcaica
- Trattato del Sublime
- Classici greci conservati